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La salute nasce in cucina
23.02.2017

La salute nasce in cucina

Ogni modo di cucinare è rivelatore di un mondo, di un corpo, di uno stile: una volta la povertà era rappresentata dalla mancanza del piatto di carne in tavola e i proverbi popolari attribuivano valore simbolico a cibi che stavano a indicare i tempi cupi della carestia, della guerra e della fame. Ai primi del ‘900, il pezzo di polenta che ogni membro della famiglia contadina veneta strofinava sull’unica aringa affumicata appesa alle travi del soffitto era la fotografia di un’epoca storica. Nel sud, la semplice dieta mediterranea, fatta di farina, acqua, sale e pomodoro, foglie di basilico e odori, pizza, acqua-sale, pasta, spalanca dimensioni di percezione, che vanno oltre il semplice gusto, fino a toccare l’appartenenza culturale e le tradizioni di un popolo.

“L’uomo è ciò che mangia”.
Quando Feuerbach, nel 1862, pubblica il saggio Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia, parte con l’affermare l’unità psicofisica dell’individuo, sostenendo la necessità di migliorare le condizioni di sussistenza materiale dell’essere umano, come presupposto per migliorarne le condizioni spirituali: “La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello, in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliorare il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia.” Non erano idee nuove: secoli prima la medicina cinese, la medicina ayurvedica, la Scuola Salernitana avevano individuato nel cibo una fonte di salute o di malattia. Oggi che il cibo prodotto proviene molto spesso da aziende che non conosciamo personalmente, è importante assumere il maggior numero di informazioni su quello che veramente ci serve per mantenerci in salute e poter scegliere con cognizione di causa come alimentarci nel modo migliore. Despar tiene fede ai principi di Responsabilità Sociale d’Impresa studiando prodotti che si prendano cura della salute, tutelando le fasce di consumatori con intolleranze o necessità di particolari regimi alimentari e fornendo loro indicazioni espresse con la massima chiarezza: così è nata la Linea VITAL.

VITAL e la dimensione sociale del cibo.
Mangiare è una questione sociale: diversi studi confermano, per esempio, che le persone che trascorrono molto tempo davanti alla televisione avranno maggiori probabilità di diventare obese. Tutti noi sappiamo bene che l’obesità non è semplicemente collegata al fatto di mangiare troppo davanti alla televisione. La nutrizione è un fenomeno ben più complesso dalle dimensioni sfaccettate che non si limita al semplice atto di assorbire degli alimenti più o meno buoni per il nostro corpo; nutrirsi bene non è solo mangiare bene. Se affermassimo questo ci dimenticheremmo la dimensione culturale, sociale ed economica dell’alimentazione. Le persone sono più soggette all’aumento di peso anche a causa di nuove abitudini nel tempo libero: divertimenti che favoriscono l’inattività fisica, come la televisione o l’uso incontrollato di internet e la conseguente deritualizzazione dei pasti, spesso consumati in fretta, con un occhio fisso sullo schermo. Cultura, economia, società formano i tre versanti della questione alimentare: nutrirsi oggi significa tenerne conto. Questo vale sia per il consumatore quando sceglie il cibo dagli scaffali, che per le aziende produttrici e distributrici che hanno a cuore l’impatto sociale delle loro azioni. Per VITAL fu scelto come testimonial Antonio Rossi, canoista, uno sportivo pluricampione olimpionico e mondiale nel kayak, proprio per ricordare che l’alimentazione sana accompagna e integra uno stile di vita attivo.

VITAL corrisponde al vero fabbisogno nutrizionale.
In media le famiglie dei paesi sviluppati dedicano una parte sempre più esigua delle loro entrate all’alimentazione. Da una ricerca del 2012 del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, risultava che in Italia i nuclei famigliari spendevano il 14,2% del loro reddito, contro il 56,6% della Nigeria o il 41,4% del Pakistan [Fonte: USDA, Economic Research Service, dati 2012].

Già nel 1855 l'economista tedesco Ernst Engel, esaminando le spese di circa 200 famiglie belghe, constatò che la proporzione del reddito che veniva riservato all'alimentazione era inversamente proporzionale al reddito stesso. Questa relazione si dimostrò poi valida per tutti i paesi e venne chiamata Legge di Engel. Engel osservò che le spese per le materie prime alimentari continuavano a crescere, ma più lentamente delle altre spese, per esempio quelle per la salute o lo svago. La crescita era essenzialmente collegata ai mutamenti nei tipi di prodotti consumati, nella loro qualità, nel loro grado di preparazione prima della vendita al pubblico. Questa evoluzione è conosciuta come “transizione nutrizionale”, un fenomeno che si manifestò a metà del XX° secolo nei paesi sviluppati, attraverso un cambiamento radicale delle abitudini alimentari, caratterizzato dalla notevole diminuzione del costo delle calorie e che ha provocò al tempo stesso lo sconvolgimento del prezzo degli alimenti e dei regimi alimentari. La prima fase della transizione è segnata dalla rivoluzione agricola, che ha determinato un aumento importante della razione calorica pro capite: intorno agli anni 1880-1890 la maggioranza delle persone saziava la fame, sia pur con un regime alimentare a base di cereali, sotto forma di pane. Il lavoro era soprattutto fisico, sia nel settore primario che secondario e l’urbanizzazione scarsa. I bisogni fisiologici erano alti e l’evoluzione della razione calorica a avuto nel complesso conseguenze favorevoli per la salute. La seconda fase costituisce il fulcro della transizione nutrizionale ed è caratterizzata dalla sostituzione dell’alimentazione tradizionale, basata principalmente su alimenti di origine vegetale (cereali, farine, legumi secchi) con un’alimentazione ricca di grassi e di cibi a forte densità energetica, sia di origine animale che vegetale (frutta e verdura fresca). La struttura della razione alimentare cambia radicalmente tra il 1880 e il 1980: le calorie glucidiche passano da 70% a 45% e le calorie lipidiche da 16% a 42%. Alla fine degli anni ’80, benché l’alimentazione continui a cambiare, la saturazione nutrizionale sembra aver toccato tutti i gruppi di alimenti. La mondializzazione dell’alimentazione accelera la transizione anche nei paesi non occidentali. Tra gli anni 1960 e 1990 la quantità di calorie pro capite al giorno aumenta di circa 450 kcal in tutto il mondo, compresi i paesi in via di sviluppo, nei quali il modello occidentale si propaga rimpiazzando i cibi tradizionali. Quest’ulteriore transizione comporta conseguenze gravi e inattese: sotto l’influenza dell’urbanizzazione e con il lavoro, che diventa sempre più sedentario, il fabbisogno calorico continua a diminuire, mentre gli apporti energetici degli alimenti non smettono di aumentare. Questa doppia evoluzione gioca un ruolo chiave nella maggioranza delle malattie croniche (ed evitabili) di origine nutrizionale: obesità, diabete, malattie cardio-vascolari e osteoporosi.

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